Quando il vittimismo diventa una strategia politica

Negli ultimi anni vari partiti hanno portato avanti una narrazione nella quale si sono dipinti da soli come “bersagli del sistema”, ottenendo anche buoni risultati in termini di consensi

I risultati elettorali degli ultimi anni parlano chiaro: in politica giocare la carta del vittimismo funziona, almeno in questo periodo storico. Vari partiti che giocano la carta dell’underdog che lotta contro la tirannia dei “poteri forti” continuano a dominare i sondaggi, anche quando sono già al governo e non sembrano esserci chissà quali ostacoli lungo il loro cammino. Avere sempre qualcuno contro il quale puntare il dito (che sia l’Europa, l’opposizione o qualche altro nemico) torna utile quando diventa necessario distogliere l’attenzione da errori o scandali di qualche tipo. Dopotutto, la storia dell’eroe solitario che deve sopravvivere in un mondo ostile funziona bene nella narrativa, quindi ha senso che possa produrre degli effetti positivi anche nella sfera politica, dove spesso quel che viene raccontato influenza l’opinione delle masse più dei fatti veri e propri.

L’esempio: Donald Trump

Si potrebbero fare vari esempi del vittimismo usato come strategia politica, ma avrebbe poco senso iniziare questa analisi partendo da qualcuno di diverso di Donald Trump. L’ex presidente degli Stati Uniti ha passato buona parte degli ultimi anni a costruire la propria immagine di leader osteggiato dal sistema e temuto per la sua capacità di risolvere problemi che altri preferirebbero ignorare. L’ha fatto soprattutto in seguito alle elezioni presidenziali del 2020, quando ha iniziato a parlare di una vittoria rubata, e le incriminazioni degli scorsi mesi non hanno fatto altro che dargli più materiale per portare avanti la sua tesi.

Un comizio di Donald Trump
Un comizio di Donald Trump | EPA/MICHAEL REYNOLDS – Etruriaoggi.it

 

Di solito l’elettorato repubblicano sopporta poco chi si ritiene una vittima (come dimostrato dalle reazioni dei conservatori alle proteste del movimento “Black Lives Matter”), tuttavia Trump è riuscito a evitare il fuoco amico equiparandosi ai suoi elettori. La narrazione che porta avanti prevede che a essere sotto attacco non sia solo lui, bensì tutti i cittadini statunitensi che si rispecchiano nella sua visione del mondo. Trump ha creato un “noi” ideale da contrappore a un “loro” composto da tutti coloro che non apprezzano le battaglie portate avanti dall’ex presidente.

Il vittimismo insito nello slogan “All Lives Matter”

In fondo non è poi così difficile far credere a qualcuno di essere sotto attacco, bastano alcuni accorgimenti linguistici. Per fare un esempio, lo slogan “Black Lives Matter” non nasce per rivendicare un trattamento speciale nei confronti degli afroamericani, bensì per provare a raggiungere un’effettiva uguaglianza all’interno della popolazione statunitense. Questo messaggio di inclusione è stato distorto dai conservatori per farlo sembrare un attacco nei confronti dei caucasici, al quale rispondere urlando “All Lives Matter”. In generale bastano davvero poche parole per far percepire come minacce le iniziative volte a espandere i diritti senza toglierli a chi li ha già. Vale per i matrimoni omosessuali come per l’aborto o l’eutanasia. Nella maggior parte dei casi si parla di inserire opzioni in più, eppure una parte della popolazione si sente comunque minacciata e sotto attacco, anche in assenza di un obbligo di qualsiasi tipo.

Circostanze favorevoli

La carta del vittimismo è ancora più facile da giocare quando il governo è effettivamente costretto a introdurre alcune limitazioni, come avvenuto nel periodo della pandemia di Covid-19. A prescindere dalle modalità più o meno corrette con le quali è stata gestita l’emergenza nei vari Paesi del mondo, quasi ovunque è diventato obbligatorio indossare le mascherine in pubblico, evitare di uscire se non necessario e rispettare dei periodi di isolamento in caso di incontro con una persona positiva. Regole che in molti hanno accolto con malumore e verso le quali vari politici hanno puntato il dito per tirare acqua al proprio mulino. In Italia gli attacchi nei confronti di Roberto Speranza, all’epoca ministro della Salute, sono stati moltissimi e anche altre figure in vista, da Silvio Brusaferro a Domenico Arcuri, sono diventate dei bersagli facili.

Anche ora che l’emergenza Covid è finita, la questione continua a far discutere. Ne è un esempio emblematico la richiesta di dimissioni del ministro Orazio Schillaci portata avanti dalla Lega in Emilia Romagna. La ragione? L’attuale ministro della Salute (che fa parte della stessa maggioranza) sarebbe propenso a ricorrere ai lockdown e all’uso delle mascherine nel caso di una nuova emergenza sanitaria, ponendosi quindi in continuità con Speranza, perlomeno agli occhi di chi lo accusa. Anche in questo caso si può parlare di una forma di vittimismo, perché Schillaci non ha fatto altro che inserire nella bozza del piano pandemico 2024-2028 alcuni accorgimenti emergenziali che sono stati adottati con buoni risultati in vari Paesi del mondo.

Il vittimismo funziona sempre?

Non è chiaro quanto a lungo possa funzionare interpretare il ruolo della vittima. A livello globale è stata soprattutto la destra a ottenere i risultati migliori da questa tattica, eppure ciò non ha impedito ad alcuni politici di spicco di subire delle sconfitte elettorali importanti. Nel 2020 Trump ha perso contro Joe Biden e due anni dopo anche Jair Bolsonaro, altro maestro del “sono tutti contro di noi”, è stato superato alle urne dal rivale Luiz Inacio Lula da Silva. Anche la tecnica comunicativa più efficace non basta a salvarsi quando le circostanze sono sfavorevoli e, soprattutto, essere credibili come vittime diventa più difficile quando si sono passati alcuni anni al potere. Inoltre, non bisogna mai dimenticare che la percezione dell’elettorato cambia di continuo e che adattarsi è l’unico modo per restare rilevanti.

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