Alda Merini in manicomio, perché è stata rinchiusa: il disturbo che le avevano diagnosticato

Poetessa contemporanea tra le più amate, Alda Merini ha vissuto una vita di tormenti che l’hanno portata anche alla reclusione in manicomio. La sua storia raccontata da una fiction Rai.

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La poetessa dei Navigli, Alda Merini (EtruriaOggi.it)

Se dici Alda Merini pensi alla poesia, forse l’unica poetessa donna e italiana conosciuta nel panorama della letteratura nostrana, ma pensi anche agli aforismi; i suoi modi di dire, perle che raccoglievano pensieri profondi che oggi fanno il giro dei social network e che l’hanno resa una poetessa pop ovvero popolare.

Nata a Milano nel Marzo del 1931, Merini è chiamata oggi anche la poetessa dei Navigli ma da giovane e fino a quando è stata in vita, ha avuto su di sé lo stigma della malattia mentale. Lei era Alda la pazza, Alda la mendicante che sì da bambina scendeva per strada e mendicava vestita di stracci solo per fare un dispetto alla madre.

La pazza della porta accanto che per oltre 10 anni ha vissuto la reclusione del manicomio riuscendone però anche ad esserne protagonista. La donna e l’artista alla ricerca costante dell’amore.

Ala Merini, la poetessa della vita. Tra dolore e amore una vita di passioni

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Laura Morante sarà Alda Merini nel film Rai (EtruriaOggi.it)

Voleva essere ricordata come la poetessa della vita e non della pazzia e, a pensarci bene, è così. Anzi forse più che della vita, Alda Merina è la poetessa dell’amore quello che ha sempre cercato distaccandosi dal disincanto dell’amore platonico.

Inevitabilmente la malattia però l’ha segnata, se non altro perché Merini ha subito il ricovero in manico per 3 volte. La prima nel 1947 quando a soli 16 anni è rinchiusa nella clinica Villa Turro a Milano. Sono i primi incontri con quelli che l’amica Maria Corti definisce “le ombre della sua mente” e che i medici identificano come disturbo bipolare, patologia caratterizzata da un’alternanza anomala di stati euforici e depressivi. All’epoca in Italia all’epoca vigeva la legge 36 del 1904 che aveva come unico scopo quello di contenere e isolare i malati. L’elettroshock, l’incatenamento sono alcune delle pratiche che oggi sappiamo fossero usate e che servivano a disumanizzare i pazienti.

Pratiche che Alda Merini ha vissuto in prima persona soprattutto durante il secondo ricovero, quello più lungo, tra il 1964 e il 1972. Pur segnato da qualche sporadico ritorno a casa, Merini passò questo quasi decennio all’Istituto Paolo Pini di Milano. Da questo momento il mondo della poetessa di divide tra il dentro e il fuori l’ospedale psichiatrico, fino a definirsi la donna con “il manicomio dentro” durante un’intervista con Maurizio Costanzo.

La sua capacità raccontare, non solo in poesia ma anche in prosa, ha permesso ad Alda Merini di essere una delle poche a riportare l’orrore dei manicomi, forse anche come processo di elaborazione. Definiva gli ospedali psichiatrici come “un’istituzione falsa, che serve solo a scaricare gli istinti sadici dell’uomo“. Ma il dolore del manicomio non finì lì; nel 1986 fu internata un’ultima volta a Taranto.

La vita di Alda Merini raccontata in un film Rai

La vita, gli amori e la follia di Alda Merini saranno raccontanti in un film per la Rai che andrà in onda il prossimo 14 marzo. Si chiama Folle d’amore il film tv dedicato alla poetessa dei Navigli proprio per rimarcare quella sua ricerca costante d’amore. L’incontro intervista tra Merini e un giovane Arnoldo Mondadori sarà il perno intorno al quale ruoterà la storia; attraverso una serie di flashback si parlerà di Merini giovane fino alla donna matura, con la sigaretta sempre in mano e le unghie colorate di smalto che concede tutta se stessa a pubblico.

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